In ricordo di Andrea Canevaro

Editoriale di Vittorio Venuti

(Dirigere La SCUOLA N.7/2022)

Il 26 maggio scorso Andrea Canevaro ci ha lasciato. Il primo pensiero che mi è venuto in mente ascoltando la notizia è stato “e adesso come facciamo?”, talmente pregnante era la sua figura, riferimento ineludibile di quell’ambito di ricerca pedagogica che aprì al riconoscimento e all’educazione delle persone in situazione di disabilità.

Cedo volentieri lo spazio dell’editoriale a Maria Teresa Roda, testimone di una rivoluzione pedagogica di cui Canevaro fu grande protagonista.

Maria Teresa Roda

Dirigente in pensione, attiva nel Movimento di Cooperazione Educativa

Andrea Canevaro, memorie della seconda rivoluzione pedagogica

La passione per gli alberi genealogici è sempre stata di casa nel Movimento di Cooperazione educativa: Mai abbandonare le radici, rafforzare il tronco, lasciare che i rami si espandano. A volte usavamo anche l’immagine rovesciata per rappresentare l’albero a testa in giù come lo aveva ipotizzato Platone o come lo si era pensato nel Medio Evo, le radici che tendono al cielo.

Gli anni ’50, per la scuola, per il pensiero pedagogico, per la crescita socio-economica hanno rappresentato il lento ma tenace lavoro delle radici. L’energia e gli umori nutritizi venivano anzitutto dalla volontà di voltar pagina. La guerra agita fatta di morti confuse seminate da nemici ed alleati, di distruzioni, era comunque finita. Giovanna Legatti, Giuseppe Tamagnini, Mario Lodi e quel pugno di maestri e maestre innovatori ed innnovatrici, per nulla al mondo avrebbero rinunciato alla domanda su come si poteva cambiare la scuola.

La strada delle tecniche divenne la via che più tardi la Pedagogia Istituzionale avrebbe chiamato “dei materiali mediatori” e della mediazione pedagogica; proprio Andrea Canevaro, saprà come reimpostare paradigmi, concezioni ed assetti del corpo compatto della scuola introducendo i principi della Pedagogia istituzionale (Vasquesz e Oury). Gli anni ’60 tolsero il velo al pionierismo, allargarono le sperimentazioni e lo svecchiamento, contribuirono a portare aria fresca dentro alle aule assieme a terrari, erbari, a volte animali ed arnesi disparati.

La tipografia fu davvero come la scoperta della stampa cinquecentesca. Sancì la libertà e la circolazione del pensiero, l’apertura ad altre classi. L’esclusione dei ceti più deprivati che portava il segno della negazione di tutto quanto riguardasse la materialità della vita quotidiana, assumeva, risignificandosi, la connotazione di sapere e trovava spazio dentro alla sacralità dell’aula. Il sapere delle stagioni, dei bachi e della loro metamorfosi, della statistica dei giorni piovosi o sereni era finalmente compreso e fatto convivere con il sapere dei libri.

Tutto questo è descritto con dovizia di particolari da Mario Lodi in: “C’è speranza se questo accade al Vho”. Dice bene Mario; è apparsa una fetta di luce che filtra proiettandosi sul pavimento, quando si socchiude la porta. Rodari osserva le luci e le ombre delle nuove pratiche, ne riconosce l’enorme spinta simbolica, la possibilità che, passando per un tocco di surrealismo, si potesse leggere il reale scherzandoci su, ironizzando, rovesciando sensi e giocando con le parole, spingendo l’azzardo fino ad una nuova concezione etica del vivere e dell’organizzazione sociale. Facendo quello che Calvino fece, in modo più amaro e disincantato, con i racconti sui Marcovaldi che si perdevano nella finzione dell’abbondanza a portata di mano.

La scuola si sprovincializza, ci sono fermenti che la scuotono, che la attraversano, che la rinnovano, che mettono ferocemente in discussione il suo carattere selettivo ed autoreferenziale. Il testo collettivo delle nuove metodologie; Freinet serve a don Milani che aveva accettato la lezione ed era entrato in questo corto circuito, per mettere a punto “Lettera ad una professoressa”, una invettiva senza peli sulle responsabilità di un’Istituzione che perde molti, troppi/e, per strada. Un “j’accuse” politico perfettamente intonato ai tempi e ad una coscienza nuova dei diritti fondamentali. La pedagogia traballò come disciplina, l’Istituzione scuola fece argine e contenne il fiume in piena.

Nacque la scuola media unica. Ma ragazzi e ragazze continuarono e continuano a perdersi nel bosco.

Lo ha capito bene Andrea Canevaro. Lo hanno capito molti insegnanti animati dal migliore degli spiriti innovatori ma avversati dalla sindrome del Don Chisciotte. Lo hanno vissuto molte famiglie che avevano gioito per lo statuto dei lavoratori (1970) ma dovevano lasciare i loro figli in scuole speciali o ancora nascosti in casa perché la scuola non ha potuto accoglierli, in quanto diversi, fino al 1975, anno del primo esito/pubblicazione del documento Falcucci e poi il 1977 con la 517 che sancì la possibilità di frequenza scolastica a tutti gli alunni con disabilità. Una conquista normativa enorme ma costellata di innumerevoli difficoltà.

Fu una seconda rivoluzione copernicana ed Andrea Canevaro divenne per il mondo della scuola e per il Movimento di Cooperazione educativa uno dei punti di riferimento imprescindibili assieme alla sua facoltà, ai suoi collaboratori, al Ceis di Rimini, al lavoro di ricerca sull’autismo e sulle infinite gamme di problemi che assommiamo dentro la parola “diversità” o handicap.

Con l’ingresso degli alunni ed alunne con (dis) abilità, non era la normalità che imprimeva i ritmi alla diversità ma era la diversità che chiedeva che cambiasse la collaborazione tra alunni ed alunne, il modo di fare i gruppi di lavoro, di disporre i banchi, di sistemare l’aula, di distribuire i tempi. Fu necessario che gli strumenti venissero ridiscussi, moltiplicati, riadattati. Forse, in nome della prima rivoluzione delle tecniche, questa rivoluzione, controversa, è passata più in sordina, accompagnata da un dibattito spesso leguleio sul ruolo dell’insegnante di sostegno.

L’Istituzione ha continuato ad essere una casamatta, un baluardo che per riprodursi ha dovuto in parte conservare le sue regole totalizzanti e rigide e con queste le stanze a sé per momenti di eccessivi e spesso prolungati esilii di alunni ed alunne in difficoltà e/o socialmente svantaggiati.

Del resto ancor oggi la ricreazione suona alla stessa ora nelle 19 regioni italiane e la scansione oraria segna il ritmo del tempo a dispetto di tutti gli orologi solari che alunni ed alunne hanno studiato e progettato e a dispetto della naturalità dei ritmi biologici. Alla cosi chiamata “resilienza”, termine a me molto inviso, la scuola ha sempre risposto con una parte di limite roccioso di irriformabilità.

Questo limite, questa muraglia è stata spesso oggetto di analisi e di studio tra noi ed Andrea tanto da spingere Andrea a riflessioni estreme sugli universi concentrazionari per capire come la memoria offesa dei campi di concentramento possa essa stessa divenire forza di resistenza, di re-esistenza. Andrea ha offerto al Movimento un aiuto costante.

Nel 1992, ero in Segreteria nazionale ed avevo l’esonero da scuola. A dicembre avremmo celebrato il convegno nazionale di Siena che avrebbe dovuto segnare una svolta ed un rilancio del Movimento: “Dalla pedagogia popolare nasce un progetto educativo per una società interculturale e multietnica”.

Non saprei ricontare le ore che spendemmo per fabbricare questo titolo. So che erano arrivati anche se non in forma massiccia, i primi alunni stranieri e ci stavamo preparando ad una crescita del fenomeno migratorio e ci eravamo seriamente posti il problema di come conciliare il concetto di “popolare” con altre culture. L’allora segretario Natale Scolaro (morto molto giovane), tuonava che ci saremmo giocati, in quel convegno tutto il nostro lustro pedagogico. A me venne affidata la relazione di apertura ma anche una parte del coordinamento dei relatori, cosa da far tremare le vene ed i polsi. Poi mi disse che l’intero impianto andava mostrato ad Andrea che era nel Comitato scientifico assieme a Fiorenzo Alfieri, Paola Falteri ed altri.

Ottenemmo il patrocinio del Presidente del Senato, allora Spadolini. Mi pare fosse settembre del ’92, Andrea ci dette un appuntamento a Bologna. Ero molto ansiosa, come andare ad un esame. Cercai di tranquillizzarmi pensando che avrei lasciato parlare Natale. In realtà Andrea ci venne incontro con un sorriso così conciliante che mi sparirono tutte le paure, andammo a prendere qualcosa ad un bar e lì discutemmo un’oretta, Andrea ci rassicurò molto e si sarebbe incaricato, se non ricordo male, di fare alcune telefonate. Fu un incontro come pochi, anche gli ostacoli più rilevanti sembrarono rimpicciolirsi.

Nei mesi successivi misi insieme, limandolo mille volte lo scritto e battendolo in un mac 128k poco più grande del formato cartolina. Andai da Luisa Tosi, una capostipite della scuola trevigiana, con mac a seguito e le chiesi se potesse andar bene quanto scritto, mi rispose laconica, come era Luisa: “Dignitoso”. Perché, non crediate, ma anche dentro il MCE gli esami non finivano mai! Fu così che affrontai Siena con lo spirito aleggiante dei due angeli custodi (Andrea e Luisa) anche se nulla mi impedì dopo la relazione di sciogliermi in bagno in un buon pianto liberatorio.

La figura di Andrea era stata tuttavia, una sorta di talismano a cui ricorrevo quando la difficoltà mi pareva insormontabile, perché il carattere di Andrea era così, e per prima cosa ti chiedeva come stavi non dimenticando nulla dei racconti passati e di chi eri.

Il pacioso parlare di Andrea non ci può far ingannare sulla seconda rivoluzione dell’innovazione pedagogica, quella che parte dalla diversità. Se Tamagnini, Legatti, Nora Giacobini, Lodi, Rodari, Tonucci e molti altri, sono stati gli esploratori della prima ora , non possiamo disgiungere il secondo passo di cui Andrea Canevaro è stato artefice seminando in Italia e nel mondo principi e riflessioni psicopedagogiche che hanno consentito di dire: “C’è speranza se questo è successo in Italia nella scuola, nelle cooperative, ad opera di un uomo discreto instancabile e profondamente umano tanto da fare dell’umanità la scienza dell’inclusione”.

Panoramica degli articoli di questo numero.

Pasquale Annese presenta la prima parte di una “Guida ragionata sugli adempimenti dirigenziali di inizio anno”, in particolare soffermandosi sull’affidamento diretto e principio di rotazione dell’incarico di RSPP anche alla luce dell’ultimo parere ANAC. La prima questione, si rileva, è convenire se l’iter procedimentale da seguire sia quello di cui di cui all’art.7, comma 6 del D.Lgs. 165/2001 o quello di cui all’art.36, comma 2, lett.a) del D.Lgs. 50/2016 e, nel contempo, se sia possibile procedere per affidamento diretto o intuitu persona derogando dal principio di rotazione degli incarichi. Il contributo è corredato dai pertinenti modelli di determina.

Antonietta Di Martino, interviene sulle recenti modifiche apportate al testo unico della sicurezza con la legge n.215/2021 per quanto riguarda la figura del preposto nel suo pezzo “L’evoluzione della figura del preposto”. Le innovazioni legislative hanno ridisegnato la figura del preposto. Ora il ruolo del preposto è diventato ancor più centrale nel garantire il rispetto delle misure di sicurezza con la sua azione di vigilanza, controllo e intervento, che può arrivare fino all’interruzione delle attività lavorative.

Michela Lella sostiene la necessità di “Una nuova leadership per la scuola della pandemia”, non essendo più sufficiente il talento naturale per essere un buon leader, ma soprattutto la capacità di impegnarsi a comprendere in quale direzione e con quali strumenti poter esercitare la propria leadership, quindi la capacità di cogliere le possibilità concrete per ottenere il massimo impegno da parte dello staff e di tutte le persone della scuola per migliorare la situazione soprattutto dopo l’andamento epidemiologico, che ha esteso ulteriori criticità nella realtà scolastica, aggiungendo nuove problematiche a quelle già da tempo esistenti.

Tullio Faia propone “Dal Piano Triennale dell’Offerta Formativa al bilancio sociale” richiamando la nota prot. n. 17832 del 16 ottobre 2018, con la quale il Ministero dell’Istruzione ha fornito una struttura di riferimento per l’elaborazione del PTOF allo scopo di sostenere la progettualità delle scuole e, probabilmente, anche per armonizzare la “fioritura” e l’eterogeneità dei modelli, contemporaneamente messa a disposizione a partire su una piattaforma realizzata all’interno del portale SIDI che le scuole possono liberamente adottare. La struttura di riferimento proposta non si rappresenta come un format da compilare in modo adempitivo come ma un supporto per le scuole interessate.

Filippo Cancellieri si interessa a “L’accoglienza dei profughi: aspetti culturali, didattici, organizzativi”, l’ennesima sfida sostenuta dalle nostre istituzioni scolastiche mentre ancora erano impegnate nella difficile gestione del post-emergenza pandemico, per fortuna, una volta tanto, senza subire i rituali e oppressivi burocraticismi dell’amministrazione centrale.

Giacinto Iannuzzi evidenzia “Motivazione e Organizzazione, elementi essenziali per una necessaria rifondazione della scuola”. La competenza professionale del docente - si sostiene nel contributo -, insieme alla sua motivazione e passione per la propria disciplina sono fortemente contagiose per gli alunni, condizione rilevante per favorire l’impegno nello studio e il successo scolastico, ma anche per dare una forte valenza educativa al rapporto didattico e ai saperi. Richiamando le neuroscienze, si conferma che, per motivare gli studenti, per creare una comprensione profonda e assicurare che le esperienze vissute in ambito educativo siano trasferite in abilità e opportunità di lavoro nel mondo reale, gli insegnanti devono far leva sugli aspetti emotivi dell’apprendimento.

Rosaria Scotti racconta de “Le sfide del multiculturalismo nel film ‘La classe - Entrele murs’ di Laurent Cantet”. Nel film si racconta delle vicende di una terza media di una banlieu parigina che ospita ragazze e ragazzi tra i tredici e i quindici anni rappresentanti dei Paesi una volta appartenuti all’Impero: dal Mali all’Algeria, dal Marocco alle Antille, con l’aggiunta di due ragazzi cinesi da poco immigrati. Una situazione emblematica e complessa nella quale l’insegnante è costretto ogni giorno a rispondere alle sfide degli allievi.

Per la rubrica CPIA, Ada Maurizio riflette su “Fierida winter: focus sull’insegnamento dell’italiano L2”, sessione straordinaria dell’annuale meeting dei Cpia, promossa dalla Rete Italiana Istruzione Adulti (Ridap) per confrontarsi sulle tante questioni aperte che riguardano il funzionamento dei Cpia e in particolare il tema dell’insegnamento della lingua italiana come seconda lingua.

Per la rubrica i Casi della scuola, Anna Armone nel suo pezzo “Il diritto di accesso agli atti del procedimento disciplinare”, si sofferma e analizza alla luce della più recente giurisprudenza la delicata questione dell’esercizio del diritto di accesso ai documenti del procedimento disciplinare. Considerando le implicazioni del procedimento disciplinare, dove gli atti ancorché di natura datoriale, possono costituire oggetto di accesso documentale, ma compete all’amministrazione valutare la fondatezza giuridica dell’istanza.

Per la rubrica la Scuola in Europa, Mario Di Mauro propone un approfondimento su “I movimenti studenteschi in Europa, ieri, oggi, domani” proprio in ragione del fatto che esalta il potere dell’incontro con l’altro ma anche la reciprocità tanto degli obiettivi quanto delle intese nel senso di come attese e di come vissute. Appare, quindi, estremamente interessante esaminarne la fenomenologia nel divenire ad ogni latitudine, ponendo sullo sfondo le due questioni che reggono il senso stesso del movimento: la forza impulsiva che ne sostiene la motivazione e la logica dell’ordine che ne pianifica l’azione. Il contributo ci introduce significativamente tra le diverse letture sociologiche che si sono prodotte sull’argomento a partire dagli studi di COSMOS (Centre On Social MOvement Studies) con sede presso la Scuola Normale di Pisa, in rappresentanza di tutti i paesi dell’Unione e al quale guarda, nel proporre incontri e fare inchieste, l’European Sociological Association (ESA).

Per la rubrica Psicologia della gestione, Vittorio Venuti pone l’interrogativo “Che scuola è se non forma educando?” ponendo sotto osservazione l’importanza dello stesso termine “educazione”, che identifica il processo che tesse la trama stessa della scuola prioritariamente su tutto il resto. Educare comporta di accogliere l’altro e guidarlo, condurlo a un conveniente livello di maturità sul piano intellettuale e morale. Dalla parte dell’insegnante, questo vuol dire tener conto dello stile educativo che i genitori stanno riversando sui figli e operare per promuovere un allineamento con la visione e la missione della scuola, tale da dar forza ad un rapporto insegnamento-apprendimento funzionale alla crescita del singolo individuo e della sua identità sociale.

Per la rubrica Sportello Assicurativo, in “Assistente di lingua straniera” Valentino Donà focalizza l’attenzione sull’impegno che comporta l’attribuzione dell’assistente di lingua straniera per l’affiancamento dei docenti di lingua, per quanto riguarda l’assistenza medica e la tutela assicurativa.

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