Riecco gli scrutini, i giudizi, i voti… i voti?!
Editoriale di Vittorio Venuti
Tempo di scrutini, tempo di giudizi e voti. Un richiamo al drammatico significato che può assumere il voto è stato evidenziato dal triste evento del quattordicenne che si è lasciato cadere dalla finestra dell’aula, in un cambio dell’ora, dopo che, in precedenza, l’insegnante aveva attribuito un voto insufficiente a tutti gli alunni avendoli trovati impreparati in una interrogazione “a sorpresa”. Può un brutto voto determinare uno sconvolgimento tale da indurre al suicidio?
Non vogliamo unirci al coro di quanti hanno cercato di indagare su questo aspetto e, sul caso, preferiamo il silenzio nel rispetto del giovane e della sua famiglia. La scuola non può che piangere per un altro “figlio” perduto e interrogarsi ancora, e con più insistenza, sul valore del voto al di là di questa tragica vicenda.
Si dice che la scuola sia rimasta la stessa da tempi ormai immemorabili e che, nel frattempo, lo scenario socio economico, nel quale la scuola insiste, sia mutato e gli alunni non siano più quelli di una volta; il mondo si sia ristretto in un telefonino e internet rappresenti l’oceano nel quale si nascondono tutti i tesori, tutta la conoscenza dei libri e, anche, tutte le insidie possibili, ma... . Ma la scuola è rimasta più o meno la stessa. Tranne qualche illuminata eccezione: cattedra, banchi, lavagna tradizionale e, nelle situazioni più all’avanguardia, computer e LIM. L’impostazione, comunque, è sempre la stessa e giudizi e voti restano il perno attorno al quale ruotano le relazioni insegnante-allievo e insegnamento-apprendimento, quasi sempre distanti dalle clamorose esortazioni della psicologia e della pedagogia che, da oltre un secolo, spingono per una loro riconsiderazione, sulla scorta di evidenze anche scientifiche.
Se per i giudizi della Primaria si può spingere perché si formino gli insegnanti a comprendere che non possono essere assimilati ai numeri e che devono assumere valenza formativa non solo per gli alunni ma anche e soprattutto per gli stessi docenti - avendo sempre come traguardo la promozione della persona dell’alunno -, per i voti non si può che dire “basta!”, non servono, sono un imbroglio così come vengono espressi, sono il retaggio di una scuola che non ha il coraggio di rinnovarsi, di comprendere che il suo tempo si è esaurito da un bel po’. Qui non si tratta di mettere in discussione la valutazione, ma riflettere sul suo significato di “misurazione” e sugli esiti che produce in termini di promozione o bocciatura.
Per la precisione, si tratta di comprendere quale significato ha oggi una scuola che attribuisca voti e licenzi o bocci sulla base di numeri. Si può affermare che questo che sia eticamente corretto? E su quali basi? Probabilmente c’è da riflettere sul senso e sul modo di fare scuola, visto che l’istruzione, la formazione e l’educazione devono essere appannaggio di tutti al di là della loro età e nel rispetto delle caratteristiche che li definiscono, intendendo tra le caratteristiche i talenti, le disposizioni, le capacità cognitive, e laborative ed apprenditive di ciascuno. La scuola deve essere in grado di sedurre gli alunni, perché si affermi la “valenza erotica” dell’insegnamento come dell’apprendimento. La scuola deve modificarsi e riformarsi già dalla primaria, che invece si è progressivamente “secondarizzata”, divenendo esattrice di prestazioni e abdicando alla sua missione di accompagnamento, orientamento e promozione dello sviluppo dei bambini, che non avviene a comando. Già durante la primaria capita di vedere i famosi “passerotti” di Don Milani lanciati in aria senz’ali.
La scuola deve essere un luogo in cui i ragazzi vanno volentieri, perché la relazione che hanno stabilito con gli insegnanti è rassicurante, allegra, serena; perché riconoscono nell’insegnante un alleato, perché l’insegnante passeggia tra i banchi ed entra in contatto con tutti, perché non è prevenuto, perché dà a tutti credito, perché affascina col suo modo di spiegare, perché riconosce di non sapere tutto ma di essere disposto ad imparare, perché riesce a prestare attenzione a tutti non solo come alunni ma specialmente come persone. Il voto è anche la misura di come l’insegnante ha interagito con l’allievo, di come ha adattato a ciascuno il proprio linguaggio e lo stile d’insegnamento, di come ha saputo tradurre i contenuti, di come ha rilevato i punti di forza e di debolezza di ognuno e di come ha intercettato le strategie didattiche più opportune. Il voto rispecchia sempre una duplice aspetto: la prestazione dell’allievo da una parte e la prestazione dell’insegnante dall’altra. Il voto è l’esito di una negoziazione, esplicita o implicita che sia. Ma sono da intendere, come oggetti di negoziazione, anche le spiegazioni dell’insegnante, i compiti che si assegnano, le interrogazioni, gli adattamenti dei contenuti, i contenuti stessi. Ogni relazione comporta una negoziazione.
Il discorso, come si può notare, è lungo e non può trovare soluzioni se non nella sensibilità degli insegnanti. La scuola deve cambiare, questo è fuor di dubbio, e il voto è una delle calamità più importanti del nostro sistema d’istruzione, che richiede di essere presa al più in considerazione, perché condiziona l’intero impianto scolastico. Si provi ad immaginare cosa succederebbe se si abolisse il voto in favore della valutazione: si sarebbe costretti a modificare dalla base lo stesso sistema. Si vedrebbero le persone!
In chiusura, trovo azzeccata l’attribuzione o di “generazione rancorosa” - coniata da un dirigente scolastico in un post su un social - a quella schiera di intellettuali, dal nome anche prestigioso, che, ricordando i loro tempi, firmano manifesti perché gli esami di Stato siano più severi, perché si torni a bocciare come una volta, perché si torni a dare voti bassi, torni il rigore e non si “regalino” promozioni, perché gli studenti devono sapere cos’è il sacrificio, perché la vita bisogna guadagnarsela... . Sic! Intanto, ai giovani stiamo rubando il futuro e la scuola ancora fa melina.
EDITORIALE DIRIGERE LA SCUOLA N.1/2022
