La valorizzazione delle competenze non cognitive
Editoriale di Vittorio Venuti
Da un angolo della calza della Befana ha fatto capolino la proposta di legge n. 2372, “Disposizioni per la prevenzione della dispersione scolastica mediante l’introduzione sperimentale delle competenze non cognitive nel metodo didattico”, proposta presentata dall’intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà e approvata alla Camera dei deputati pressoché all’unanimità (340 voti favorevoli, nessun contrario e 5 astenuti).Riservata alle secondarie di primo e secondo grado, la propostasi pone l’obiettivo di superare le problematiche afferenti alla povertà educativa e alla dispersione scolastica in ragione del fatto che, dal “Rapporto sulla conoscenza” del 2018 dell’Istituto nazionale di statistica è emerso che al termine del primo ciclo di istruzione il 34,4 per cento dei giovani non aveva raggiunto un livello sufficiente di competenze alfabetiche, un dato che saliva al 40,1 per cento se si considerano le competenze numeriche. A tal fine, l’art. 1 della proposta di legge “prevede l’introduzione sperimentale e volontaria, nell’ambito di uno o più insegnamenti delle scuole secondarie di primo e di secondo grado, delle competenze non cognitive, quali l’amicalità, la coscienziosità, la stabilità emotiva e l’apertura mentale, nel metodo didattico”.
La proposta, adesso all’esame del Senato, è stata presentata dall’intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà e prevede una sperimentazione che miri ad incrementare le cosiddette “life skill”, quelle abilità che favoriscono comportamenti positivi di adattamento e maggiore capacità di far fronte alle richieste e alle sfide di tutti i giorni.
Secondo la proposta, l’introduzione sperimentale delle competenze non cognitive di cui sopra “è effettuata nell’ambito degli ordinamenti e dei programmi vigenti ed è finalizzata a sviluppare negli studenti, tramite un’innovativa pratica didattica, abilità e competenze quali la flessibilità, la creatività, l’attitudine alla risoluzione dei problemi, la capacità di giudizio, la capacità di argomentazione e la capacità di interazione”.
Naturalmente, e c’era da vincere facile scommettendo, all’attuazione della sperimentazione, che avrebbe durata triennale e dovrebbe avere inizio già nel corrente anno scolastico, “si provvede senza incrementi o modifiche dell’organico del personale scolastico e senza la previsione di ore di insegnamento eccedenti rispetto all’orario obbligatorio previsto dagli ordinamenti vigenti”. Il primo anno di sperimentazione sarebbe dedicato alla formazione dei docenti e gli anni successivi sarebbero dedicati all’introduzione delle CNC (l’acronimo ormai appare d’obbligo) nel metodo didattico. Alla formazione saranno destinati 1,5 milioni di euro. Non osiamo neppure pensare a come si svilupperà questa partita.
La proposta ha avuto il plauso del ministro Patrizio Bianchi: “Voglio ringraziare l’Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà e il Parlamento per il lavoro fatto e per l’attenzione che, ancora una volta, viene rivolta alle nostre studentesse e ai nostri studenti. L’obiettivo di tutti noi è garantire l’effettivo e pieno sviluppo di ogni giovane. Questo provvedimento contribuisce a costruire una scuola che mira alla formazione di qualità, per tutti e per ciascuno, e allo stesso tempo è luogo di relazioni. In altre parole una scuola che educa cittadine e cittadini consapevoli delle proprie capacità e inclusiva”.
Essendo risaputo, nel mondo scolastico, che esista un continuum tra competenze cognitive e non cognitive, è lecito chiedersi quali menti possono aver partorito un’idea del genere e quale rapporto significativo hanno con la scuola per architettare una siffatta proposta, che entra nel merito della didattica e della professionalità degli insegnanti. Da quale ricerca, da quali dati e su richiesta di chi ci si è mossi? Perché ancora sulla scuola devono ricadere scelte pensate altrove, che non tengono conto della pressione burocratica e organizzativa alla quale è sempre più sottoposta da qualche decennio?
Leggiamo che la scuola ha il compito di ricomporre il disorientamento verso il mondo circostante delle ragazze e dei ragazzi, quindi di fornirli degli strumenti per superare le criticità generate dalla pandemia, ma forse si ignora che su questo compito la scuola si è impegnata, e continua a farlo, fin dal primo istante senza bisogno di alcun decreto, perché il perseguimento del benessere dei bambini e dei ragazzi è argomento ed impegno prioritario per la scuola. Certamente, considerare le competenze non cognitive all’interno della relazionalità che sorregge il lavoro scolastico è importante, ma si tratta di questione che attiene alla sensibilità professionale, umana e sociale di ogni singolo docente, che un semplice corso di formazione, seppure ad hoc - e forse proprio per questo - non può soddisfare.