FARE L'insegnante n. 5/2021/ 2022
Rivista bimestrale di Formazione e Aggiornamento professionale destinata a dirigenti e docenti delle scuole di ogni ordine e grado impegnati nel miglioramento dell'offerta formativa
Corresponsabilità educativa e conflittualità
Editoriale di Ivana Summa
Uno dei “miti” che da quarant’anni sopravvivono nelle nostre scuole è quello della corresponsabilità educativa tra scuola e famiglia. Nata nel 1974 con la sua sanzione normativa nei decreti delegati che indicavano nella partecipazione delle famiglie alla gestione della scuola la via per innovare il sistema educativo rendendolo democratico, è stata a lungo narrata ed elaborata in ambito pedagogico e normativo, passando dal Patto di corresponsabilità del 2007, fino all’ approdo delle “Linee di indirizzo” emanate l’11 novembre 2012 e poi a numerosi e successivi interventi amministrativi.
In mancanza di un rinnovato patto sociale con il quale negoziare nuovi valori, finalità e obiettivi non si trova nulla di meglio che attualizzare il mito della corresponsabilità contaminandolo con concetti più moderni, quali stakeholder, bilancio sociale, partnership educativa?
Come sappiamo, un mito è una credenza indiscussa circa “i benefici prodotti da certe tecniche e certi comportamenti” (così ci dicono gli antropologi) e la fede in questi effetti positivi razionalizza il mito e lo rende “vero” anche se non reale. Anche in questo caso diventa necessario ri-narrare ciclicamente il mito, per rafforzarne la tradizione rendendo più forti le radici del significato primigenio: partecipazione intesa come corresponsabilità che, a sua volta, si concretizza in comunità educativa/educante. Oggi il vecchio mito viene ri-narrato a prescindere dai mutamenti istituzionali intervenuti negli anni ‘90 e che riguardano sia la ridefinizione dei rapporti tra i cittadini e la pubblica amministrazione che la riforma dell’autonomia scolastica.
Le Linee guida, invece di distinguere - come dovuto - la responsabilità della scuola da quella delle famiglie imponendo alla prima di rendicontare alle seconde, chiamano entrambi i soggetti a “costruire il sociale”... “condividendo la responsabilità dei vari progetti realizzati: docenti, genitori, studenti, personale Ata, Associazioni di genitori e gli altri organismi esterni”, per poi rendicontare. Ma a chi? A se stessi, tanto per restare nel circolo vizioso di una nuova concezione della cogestione che possiamo definire una “democratica autoreferenzialità allargata”.
In tempi di incertezza, insicurezza e discontinuità che, peraltro, sono fenomeni che accomunano in un unico sentimento famiglie e scuole, istituzioni e società, le interpretazioni plurali dell’essere famiglia e del fare i genitori vanno collocate dentro lo scenario dell’attuale stagione storica che tende alla differenziazione, alla fluidità, alla provvisorietà e alla frammentarietà. E tutto ciò all’interno di una martellante elaborazione di modelli culturali e di una propagazione di modelli educativi che funzionano da riferimento per i comportamenti e le decisioni in ambito educativo familiare. D’altro canto, anche le istituzioni non se la passano molto bene, anzi alla scuola si chiede sempre di più, allargando le sfere dell’educazione per far acquisire competenze di natura sociale, relazionale, emotiva, andando addirittura in senso contrario ai valori dominanti nelle famiglie e nel sociale. Queste competenze, peraltro, non sono insegnabili perché possono essere apprese ed interiorizzate soltanto attraverso il complesso processo di modeling.
Il risultato di tale stato di cose lo si può constatare nel rapido deterioramento della qualità dei rapporti tra le scuole e le famiglie, manifestandosi sempre più spesso - come riportato da numerose e quotidiane cronache - in forme conflittuali eclatanti!
Eppure, in questi ultimi decenni sono stati introdotti statuti, patti, codici disciplinari, organi di garanzia. Ma sono utili alla scuola per costruire alleanze sul piano educativo o per salvaguardarsi (quando ci riescono!) sul piano giuridico-formale?
In questo quadro, è contraddittorio ed illogico riproporre modalità inefficaci di affrontare questa crescente conflittualità, in quanto by-passano il problema della ricostruzione di modalità comunicative autentiche tra scuola e famiglia. La partnership scuola-famiglia va vista come un’impresa educativa congiunta tra soggetti che hanno funzioni non surrogabili e responsabilità inalienabili, ma va coniugata all’interno di una complessità che affonda le proprie radici nell’essenza stessa dell’educare, che è sfida e scommessa che chiama tutti i soggetti in gioco, senza che nessuno possa imporre le proprie soluzioni (che non esistono “chiavi in mano”) e i propri punti di vista, che sono sempre parziali e culturalmente e socialmente condizionati.
Così, in questo numero della rivista abbiamo collocato due contributi che testimoniano come le scuole - non tutte le scuole, ma soltanto le scuole che pensano e si pensano in modo creativo - sanno trovare la strada, o almeno qualche nuovo sentiero, frutto di esplorazione. Mi riferisco al contributo di Lucia Rinaldi che, utilizzando un finanziamento PON FSE, ha realizzato nel suo istituto comprensivo un intervento formativo sulla comunicazione efficace e la risoluzione positiva dei conflitti, da cui è nato uno “Sportello di Mediazione”. Segue un saggio di Lara Vinciguerra che è stata la guida autorevole di questa esperienza, facendoci comprendere come “La tensione conflittuale può generarsi negli scambi comunicativo-relazionali, quando le persone instaurano rapporti interpersonali, attraverso i ruoli sociali che ricoprono, come quelli di docente e di alunno/a o di genitore e figlio/a, ai quali sono connesse aspettative, espressione dei modelli socio-culturali di riferimento ed emozioni. Nella maggior parte delle persone che sperimentano una comunicazione conflittuale, albergano dei bisogni inespressi, che si manifestano sotto forma di accuse, di offese o di recriminazioni (componente visibile del conflitto) ma che, in realtà, sottendono il desiderio interiore di sentirsi compresi/e, apprezzati/e riconosciuti/e (componente invisibile del conflitto)”.
Ecco, l’autonomia scolastica è autonomia di pensiero, di un pensiero che sa trovare soluzioni efficaci a problemi concreti. Certo, le Linee Guida ministeriali sono utili, come ci suggerisce Giancarlo Sacchi con il suo illuminante esame delle “idee e proposte per l’integrazione di alunni provenienti da contesti migratori”. Il documento ministeriale pone particolare attenzione alle famiglie immigrate, anche con la collaborazione dei mediatori culturali, in particolare per quelle che vivono situazioni di isolamento. Si chiede di stimolare la disponibilità da parte del personale scolastico all’ascolto delle preoccupazioni dei genitori stranieri e favorire i rapporti con i genitori italiani al fine di risolvere positivamente le tensioni che si generano ad esempio nella formazione delle classi e per il pieno svolgimento delle attività didattiche. Occorre costruire alleanze tra le diverse realtà territoriali, pubbliche, private, associative, attraverso veri e propri patti educativi con gli enti locali, per allargare il raggio d’azione alla “città educativa”. Dunque, anche qui si parla di prevenire e gestire le conflittualità. Alla formazione dei docenti è demandata la capacità di gestire i conflitti di valori quando sono in classe o, comunque, in una situazione didattica. Attraverso il confronto democratico, la mediazione interculturale, la negoziazione, è possibile coinvolgere tutti gli studenti, indipendentemente dalla loro provenienza, in azioni di partecipazione attiva e di reciproco scambio. La prospettiva interculturale attraversa i saperi e le discipline, si rivolge a tutti, superando una concezione che interpreta le culture e le identità come realtà statiche e, conclude il documento, “dovrebbe modificare e trasformare la struttura stessa dell’organizzazione”.
Concludiamo questo editoriale segnalando il contributo di Rita Bortone che esamina il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che dedica al settore Istruzione e ricerca la Missione n. 4 che, coerentemente col punto di vista economico da cui nasce il Piano, “mira a rafforzare le condizioni per lo sviluppo di una economia ad alta intensità di conoscenza, di competitività e di resilienza, partendo dal riconoscimento delle criticità del nostro sistema di istruzione, formazione e ricerca”.
Un discorso completo sul profilo dell’insegnante sarebbe troppo lungo e richiederebbe argomentazioni articolate su competenze e culture, su autonomie e vincoli, su responsabilità individuali e collegiali. Intanto si succedono ministri e si reclutano nuovi insegnanti e tutto ciò contribuirà a fare della scuola il luogo della casualità e non dell’intenzionalità.