2022/2023: la scuola tra Resilienza e Ripresa

Editoriale di Ivana Summa

In questi ultimi anni la scuola ha dimostrato con grande evidenza, agli altri e a se stessa, la perme­abilità dei propri confini nei confronti dei grandi eventi che hanno scosso il mondo e la società in cui viviamo. Dopo due anni di lotta per fronteggia­re la pandemia, durante i quali le nostre scuole si sono trasformate in veri e propri “fortini” chiamati a salvaguardare i propri abitanti dagli assalti di ne­mici invisibili ma presenti, con tante incertezze e con tanti limiti ma sempre guidate dalla volontà di superare tutte le difficoltà, cosa ancora le aspetta? Le nostre scuole hanno vissuto, in modo permeabi­le, anche la guerra tra la Russia e l’Ucraina per le sue ripercussioni sull’accoglienza dei profughi, sull’au­mento dei prezzi e sulla crisi dell’approvvigiona­mento energetico; poi la questione dei cambiamen­ti climatici con evidenti ripercussioni addirittura nella progettazione educativa e didattica.

Questi tre fenomeni- pandemia, guerra e clima – hanno fatto scoprire la dimensione globale della no­stra esistenza e, contemporaneamente, l’intercon­nessione inevitabile di tutti i fenomeni materiali ed immateriali, il grado di benessere che percepiamo nella quotidianità, la responsabilità collettiva nei confronti del futuro che andiamo confusamente ed inerzialmente realizzando. Ma anche la scuola deve pienamente comprendere quanto sia diventata più vasta e rilevante la sua funzione sociale e quanto sia necessario aprire tutte le proprie porte, non li­mitarsi ad insegnare “cose”, ma nutrire menti e in­coraggiare cuori.

Gli eventi che la scuola ha affrontato ed affronta soprattutto razionalmente hanno, tuttavia, pro­vocato emozioni e sedimentato sentimenti che hanno cambiato i precedenti precari equilibri che oggi – paradossalmente - possono apparire perfino desiderabili e, dunque, da ripristinare, ritornando nello stadio precedente. E tutto ciò anche se sap­piamo benissimo che il “come prima” è impossibi­le perché il flusso degli eventi ha sempre una sua forza trasformatrice tanto più potente quanto più turbolenti sono stati. Dunque, sia la restaurazione che l’innovazione debbono fare i conti con ciò che è avvenuto.

Sarà sufficiente continuare ad essere resilienti, per poter riorganizzarsi, oppure occorrerà mettere in campo qualche altra virtù finora ancora non appar­sa in modo evidente? Se l’approccio emergenziale non ha più senso, altrettanto insensato è agire per restaurare le vecchie modalità di funzionamento, basate su routine organizzative e didattiche drasti­camente sconvolte in questi ultimi anni. E, d’altro canto, la resilienza ha senso per fronteggiare gravi e improvvise turbolenze, ma non può certamente essere una risposta efficace sempre e comunque. La Resilienza, diventata una parola abusata, spe­cialmente dopo averla imprigionata nell’acronimo PNRR, ha di fatti perso la sua originaria connota­zione semantica positiva.

Oggi è urgente privilegiare l’altra R, ovvero la Ripre­sa, da assumere nel suo significato di nuovo inizio dopo una fase di interruzione, di avvio di una serie di azioni . Certo, la resilienza è un concetto che indi­ca la capacità di fare fronte in maniera positiva ad even­ti traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sen­sibili alle opportunità positive che la vita offre, ma oggi è necessario che la scuola si riprenda e ciò può av­venire soltanto assumendo una nuova postura isti­tuzionale, in grado di ricomporre la propria identi­tà e il proprio ruolo nella società. Certamente, per ricomporre la propria identità le scuole dovrebbero riflettere su come hanno affrontato il tumultuoso succedersi di eventi, apprendendo dalle soluzioni trovate, dalle difficoltà incontrate, dagli insuccessi sperimentati e, contemporaneamente, interrogan­dosi su un presente proiettato sul futuro.

Sì, perché il futuro è già apparso proprio in questi anni, sia pure con contorni non del tutto visibili e definiti, in tutta la sua portata trasformatrice e, in alcun modo, può essere affrontato pensando di assimilarlo al passato! Una scuola che va in ripre­sa mette da parte la resilienza perché ha bisogno di ripartire con slancio e con un nuovo sguardo su se stessa e sul futuro. Per avere una visione del futuro bisogna evadere dalla “gabbia del presente”, fatta di quotidianità e di routine incalzanti che impedisco­no agli insegnanti e ai dirigenti scolastici di solle­vare lo sguardo dall’hic et nunc, di fatto rendendo impossibile perfino pensare al futuro.

È urgente, invece, individuare ed analizzare i segnali deboli (weak signals) che, come ci ha insegnato Igor Ansoff, compaiono come primi indizi di un trend futuro che poi emerge all’improvviso e in modo inatteso nel corso di una turbolenza ambientale. Ed infatti, già prima dei fenomeni turbolenti più sopra accennati, i segnali deboli erano ben osservabili a chi era in grado di vederli; ora ogni singolo istituto scolastico è in grado di avere una visione più tan­gibile del futuro che è già presente, utilizzando in modo intelligente l’autonomia di ricerca, sperimen­tazione e sviluppo. E non ci riferiamo, ovviamen­te, soltanto all’intelligenza cognitiva, ma anche a quella emotiva. E le emozioni delle istituzioni sono importanti come quelle delle persone, perché con­sentono di re-agire, di ri-prendersi, di ri-nnovarsi.

Il contributo di Pirkia Schildkraut, medico e for­matrice, sulle potenzialità apprenditive delle emo­zioni va proprio in questa direzione, partendo“dal riconoscimento dell’importanza primaria del nostro cervello emotivo e della sua capacità di reazione imme­diata. Le emozioni, infatti, permettono di gestire situa­zioni cruciali…”“Le emozioni secondarie, espressione della elaborazione razionale e sociale delle emozioni primarie, sono generate dal nostro cervello razionale, sono espressione della nostra personalità e regolano la nostra vita sociale e civile… Non esiste una razionali­tà pura e le emozioni hanno un ruolo importante nella guida dei nostri processi decisionali”.

Un altro importante contributo scientifico è quello di Cristina Venturi, docente e formatrice del me­todo montessoriano che, aggiornandoci sulle ulti­me ricerche in ambito neurologico, ci fa compren­dere quanto siano state – e soprattutto continuino ad essere – rivoluzionarie ed attuali la teoria e la pratica di Maria Montessori, che ha operato come medico e pedagogista a cavallo tra l’800 e il ’900.

Il terzo contributo di Federica Pilotti si focalizza, ancora una volta, sulla valutazione. L’autrice riba­disce la necessità che l’intero percorso di progetta­zione sia svolto tenendo sempre in considerazione la fase di valutazione, intesa come “uno strumento critico atto a misurare la validità e a valutare i risul­tati nelle specifiche applicazioni”, ovvero un insieme di più momenti di ristrutturazione e di debriefing che vedono come attori sia il docente (valutazione/ autovalutazione) sia lo studente (autovalutazione); “così facendo, nell’azione didattica progettata sarà pos­sibile tornare indietro in ogni momento per rimodulare gli obiettivi formativi prefissati o l’azione didattica stes­sa.” Valutare e auto-valutarsi non rappresentano, pertanto, una fase finale, ma una continua osserva­zione, una mappa dove visualizzare il “Io sono qui”.

Tra tutti gli altri pregevoli contributi, presenti sia nella sezione dedicata alle esperienze e riflessioni didattiche, sia nelle rubriche, segnaliamo il contri­buto di Flavia Marostica che, prendendo spunto dal saggio di P.G. Bresciani intitolato “La Competen­za”, ci regala i punti salienti e più attuali della ri­cerca sulla competenza. E su questo concetto, tanto necessario di approfondimenti quanto a rischio di uno svuotamento semantico, c’è ancora molto da approfondire. Utilizziamo questo contributo come “appunti di viaggio, oltre l’orizzonte”.

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