Riprendiamoci l’autonomia

Editoriale di Ivana Summa

Prima di consegnare a questo editoriale alcune riflessioni riguardanti gli articoli pubblicati, mi preme evidenziare che l’autonomia scolastica rappresenta ancora oggi il fattore di cambiamento della scuola italiana. Basta rileggere i primi 6 articolo del DPR n. 275/1999 per accorgersi delle formidabili potenzialità che offrono le diverse anime dell’autonomia. Dunque, le scuole davvero autonome sanno fare delle scelte sulla base dell’individuazione di bisogni e criticità (da alcuni anni operazione possibile con gli strumenti del RAV e degli esiti delle prove INVALSI) e ragionando in termini di ricerca (quali sono i problemi e cosa ci dice la ricerca teorica ed empirica), sperimentazione (provare a realizzare i cambiamenti praticabili), sviluppo che rende possibile generalizzare i risultati sperimentali inducendo un miglioramento a livello di sistema. La scuola, con l’autonomia di ricerca/sperimentazione/sviluppo, ha un dispositivo endogeno in grado di garantire innovazione e miglioramento continuo, fornendo motivazioni “scientifiche” alle scelte organizzative e didattiche.

Il quadro normativo riguardante l’autonomia di ricerca delle scuole va doverosamente completato con un altro richiamo, quello relativo al profilo professionale dei docenti (art. 23 del C.C.N.L./99) “costituito da competenze disciplinari, pedagogiche, metodologico-didattiche, organizzativo- relazionali e di ricerca, tra loro correlate ed interagenti, che si sviluppanocol maturare dell’esperienzadidattica, l’attività di studio e disistematizzazione della pratica didattica”.

Ma a cosa serve questo particolare aspetto dell’autonomia scolastica? In nome di che cosa e con quali finalità la scuola fa ricerca, testimoniandola concretamente nel POF?

I riferimenti normativi sono importanti per capire come l’attribuzione alle scuole dell’autonomia di ricerca/sperimentazione/sviluppo voleva rappresentare un fatto rivoluzionario, perché comporta due cambiamenti fortemente interdipendenti: cambia la fisiologia dell’insegnamento e, contemporaneamente, la professionalità degli insegnanti.

Infatti, l’autonomia di ricerca non rappresenta più – come avvenne con il dpr n. 419/1974 - una possibilità per le scuole e quindi un modo di lavorare “straordinario”, bensì il modo “ordinario” di lavorare, di elaborare e realizzare un’offerta formativa sempre e costantemente migliorabile. Dunque, u dover essere dell’agire istituzionale della scuola.

In termini di cultura organizzativa, la R&S (Ricerca e Sviluppo) è nata come sottosistema organizzativo per garantire all’impresa la capacità di migliorare i propri prodotti e i propri processi, innalzandone la qualità e/o innovando. In contesti di organizzazione d’impresa, dunque, la ricerca praticata non è mai ricerca pura e disinteressata o accademica, ma ricerca operativa, ricerca-azione, ricerca- intervento. Leorganizzazioni d’impresa che vogliono operare con successo sul mercato hanno sempre un settore dedicato alla ricerca e sviluppo e, spesso, anche alla formazione. Infatti, soltanto la capacità di migliorare e di innovare può garantire successo e non soltanto la sopravvivenza. Per questo lo sviluppo – praticabile soltanto dal basso e non “par décret”- è parte costituente della stessa ricerca, anzi la legittima attraverso la crescita, l’ampliamento, l’avanzamento complessivo.

Ma la scuola che fa ricerca e sperimenta professionalizza il lavoro dei propri operatori o almeno di una parte di essi, e spesso è costretta a modificare la sua stessa struttura organizzativa. Infatti, l’autonomia didattica ed organizzativa, senza un supporto di ricerca e sperimentazione, si risolve sostanzialmente in bricolage e pressappochismo. Ma quante scuole in questi anni hanno agito la loro autonomia facendo la loro “ricerca del ramo d’oro”? È una percentuale insignificante, tanto che fin da subito, il ministero – qualsiasi denominazione abbia assunto e di qualsiasi espressione tecnica o politica fosse espressione – ha continuato ad introdurre legittimamente, non soltanto riforme ordinamentali, bensì figure, funzioni, strumenti riguardanti il miglioramento della didattica, affidando il tutto all’applicazione procedurale da parte delle scuole.

La ricerca, la sperimentazione e lo sviluppo impongono, in via prioritaria, alla scuola di modificare la propria struttura organizzativa istituendo un dipartimento – ovvero un servizio – dedicato alla R&S, dove sia possibile per gli insegnanti fare concretamente ricerca. Con la ricerca, il docente modifica il rapporto tra conoscenza educativa e prassi. L’insegnante ricercatore, infatti, non solo utilizza la conoscenza educativa e didattica posseduta per orientare la propria prassi, ma arricchisce questa stessa conoscenza, la modifica e ne genera di nuova, facendo oggetto di riflessione le azioni didattiche e riformulando teorie dell’azione, in un contesto di comunità professionale in cui fondamentale diventa la socializzazione delle conoscenze pratiche attraverso l’apprendimento organizzativo, in quanto è la stessa scuola che apprende dal proprio sapere diffuso e diventa learning organitation.

La cultura e la pratica della ricerca comportano, concretamente, per ogni scuola, la messa a punto di progetti di miglioramento del funzionamento organizzativo e, contemporaneamente, progetti di investimento sulle risorse umane, per consentirnecrescita e valorizzazione. In questa prospettiva, si recidono i legami di dipendenza da aggiornamenti estemporanei ed eteronomi a favore di una vera formazione, centrata sui bisogni dell’istituzione scolastica in grado di valorizzare conoscenze ed esperienze attraverso forme di ricostruzione cognitiva e rielaborazione emotiva.

Per i dirigenti scolastici, invece, la ricerca-azione sembra offrire strumenti per una reinterpretazione, sotto l’egida della leadership educativa, della funzione manageriale, assunta come promozione, coordinamento, valorizzazione delle risorse umane, visione strategica,capacità innovativa. La decisionalità dirigenziale, inoltre, si dota di abiti scientifici e culturali e di abiti etici e deontologici.

Questa lunga premessa rappresenta la cornice - frame - entro la quale possiamo collocare alcuni contributi pubblicati in questo n. 5 e, in particolare, quello di Maria Rosaria Mazzella. Infatti, ancora oggi, la prima difficoltà che si incontra quando si vuole agire attraverso la leva della flessibilità organizzativo-didattica, è rappresentata dalla “resistenza” dei docenti, che preferiscono evocare scenari organizzativi non praticabili dalla singola scuola (aggiunta di ore disciplinari, classi poco numerose) invece che riorganizzare orari e didattiche. E proprio per rompere tale resistenza è essenziale la leadership del dirigente scolastico che è in grado di guidare i docenti a connettere il concetto di flessibilità a una cultura reticolare, basata sulla valorizzazione delle connessioni e sull’autonomia “ragionata” dei percorsi, a scapito di improduttive linearità e sequenzialità tradizionali. Far superare steccati rigidi come l’orario delle lezioni e la parcellizzazione delle discipline introducendo un’ottica sistemica, richiede alla scuola di fare ricerca, sperimentando nuove soluzioni.

Anche il contributo di Gian Carlo Sacchi va nella direzione del protagonismo delle scuole perché, nel suo contributo sul PNRR, mette i giovani al centro dell’innovazione così come hanno fatto alcuni istituti scolastici interrogando gli alunni, dai più piccoli ai più grandi. E guardando a diverse di queste esperienze ci si accorge che il valore aggiunto che il Piano si aspetta lo si trova nell’attenzione e nella creatività dei giovani, i quali sono riusciti a fare sintesi dei vari aspetti che si possono condensare in una proposta innovativa: progettare spazi multifunzionali, capaci di ospitare situazioni didattiche in movimento, che vadano oltre le aule statiche e anonime, laboratori che identifichino un determinato contenuto culturale e disciplinare, o percorsi di ricerca, anche all’aperto. Si chiedono poi postazioni di lavoro per attività digitali, ma anche curricolari da svolgere in orario extrascolastico. I giovani devono poter ritornare a scuola durante la giornata ed anche nei periodi di vacanza, dove realizzare attività individuali o di gruppo.

Insomma, l’innovazione diventa rivoluzione culturale! Infine, un accenno spetta alla descrizione, fatta da Fiorenzo Ferrari e Laura Palumbo, di un’esperienza che nasce per necessità. Infatti, durante la pandemia, emerge l’esigenza di creare nuovi spazi laboratoriali pratici per rispondere ai bisogni formativi e sociali derivanti dalla situazione emergenziale. Nonostante le regole imposte per contenere la crisi sanitaria e la complessa gestione scolastica, vi erano maggiori possibilità di agire l’innovazione per studenti BES e per gli istituti la cui connotazione didattica è centrata sulle discipline professionalizzanti.

Il Maggia di Stresa, prima scuola alberghiera d’Italia e oggi polo della cultura dell’ospitalità, ha colto l’opportunità per dare occasioni di apprendimento reali, prendendo il meglio dalla situazione: nonostante le limitazioni fossero ancora stringenti, vi era la possibilità di fare rientrare i ragazzi a scuola. Tuttavia, il bisogno di maggiori spazi era evidente: come pensare un orario delle lezioni che non prevedesse compresenze tra più classi nel medesimo laboratorio, al fine di garantire salute e sicurezza?

Ecco, un problema strutturale del nostro sistema scolastico, sono gli spazi perché una didattica laboratoriale non si fa in aule strette o, addirittura, in luoghi di fortuna. X

La Casa Editrice Euroedizioni Torino S.r.l. è una società che si occupa prevalentemente di problemi organizzativi e gestionali delle scuole di ogni ordine e grado, sia sotto l'aspetto pedagogico-didattico che sotto quello amministrativo-contabile; a tal fine fornisce informazioni, consulenza, riferimenti interpretativi, formazione anche on line, supporti operativi, edizione di testi per la gestione delle istituzioni scolastiche, manuali per la preparazione ai concorsi del personale scolastico. 

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