Professionalità docente: il passato e il presente. E il futuro?

Editoriale di Ivana Summa

Parlando della professionalità docente, ci si trova di fronte ad aporie insuperabili, tanto da bloccare i discorsi e le azioni su posizioni statiche: i docen­ti debbono insegnare in modo tradizionale versus i docenti debbono insegnare in modo nuovo. A quan­to pare, la selezione e il reclutamento del personale docente – operazioni ministeriali sempre in atto tra concorsi, ricorsi, graduatorie, sanatorie – guarda al passato, ad un insegnante che sa le discipline, spruzzate da qualche conoscenza didattica, psico­logica e valutativa, selezionati con i test e qualche lezione simulata. Così si aggrava il problema della scuola italiana perché, per come è organizzato il sistema scolastico italiano, la qualità dell’offerta formativa delle singole scuole dipende per la gran parte dalla qualità degli insegnanti. Certo, incido­no lo stato giuridico dei docenti, l’eccessiva mobi­lità e precarietà, la capacità delle singole scuole di avvalersi delle opportunità offerte dall’autonomia scolastica e di lavorare insieme ai territori, alle loro istituzioni e alle loro opportunità, ma il cuore del problema si può sintetizzare in una domanda: qua­le insegnante per quale scuola?

Se assumiamo il cambiamento come la caratteristi­ca principale delle società umane ‒ cambiamento basato sull’evoluzione che si verifica nell’interazio­ne costante, sistematica ed universale tra l’uomo e l’ambiente – possiamo agevolmente affermare che l’umanità, in tutti gli angoli del nostro pianeta, ha sempre dovuto fare i conti con le continue trasfor­mazioni; quasi paradossalmente, il cambiamento è la predominante variabile sociale stabile, inevitabi­le, vitale perché creata dalla stessa umanità. Certa­mente, le fonti di cambiamento sono molteplici e di diversa natura e portata, ma le più straordinarie sono sempre state quelle di natura tecnologica, dal­la prima freccia, ruota, costruzione di abitazioni, all’Intelligenza Artificiale, oggi.

Se ci concentriamo sulle nuove competenze pro­fessionali richieste in questo “nuovo mondo”, si è ormai, e da tempo, passati da professionalità codi­ficate in modo stabile con un set di conoscenze ed abilità che prevedono un apprendimento di tecniche operative e modelli di azione in un certo periodo della vita (scolastico ed accademico) e la successiva applicazione nella restante età adulta, ad una for­mazione più complessa e dinamica perché chiamata a misurarsi con continue e rapidissime trasforma­zioni. In questa prospettiva possiamo affermare che anche gli aspetti costituenti della professiona­lità docente non sono tanto definibili con una serie di competenze i cui contenuti ed abilità appresi una volta per tutte che, peraltro, sono oggetto di imprevedibili evoluzioni, bensì con la capacità di connettere i propri specifici saperi professionali con saperi specifici di altri ambiti, contaminando il proprio specifico professionale con le altre speci­ficità professionali, il proprio mondo lavorativo con gli altri mondi e con le più vaste istanze sociali.

Diventa necessario ripensare globalmente l'inse­gnamento e l'apprendimento: il come, il cosa e le finalità. Ripensamento che non va affidato (sol­tanto) alle leggi e al reclutamento concorsuale, ma che deve partire dalla consapevolezza della propria funzione sia da parte di ciascun insegnante, sia da parte di ciascuna "comunità professionale" in ogni singola scuola. La scuola, di fatto, è anche una "co­munità relazionale" (così l'ha definita lo scomparso pedagogista C. Scurati), perché gli insegnanti, an­che superando o, meglio, utilizzando gli spazi col­legiali che la caratterizzano da più di cinquant'anni, hanno la possibilità di confrontarsi, di riflettere, di ragionare, diventando, se lo vogliono, una comunità professionale che apprende, che decide le scelte edu­cative e curriculare creando un orizzonte di senso entro quale collocare l'insegnamento e l’apprendi­mento, cosa fare e come fare, gli assegna anche la responsabilità di rispondere del proprio operato.

Ciò implica la capacità di fare ricerca e sperimenta­zione che sono l'unica strada per sfuggire a routine organizzative, didattiche, metodologiche e valuta­tive che hanno perso il senso stesso del loro essere ancora praticate. La scuola di questo millennio non può più essere la stessa istituzione del secolo scorso perché il nostro è un secolo talmente in movimento che non ci si può soltanto limitare a inseguirlo, ma è urgente comprenderlo ed interpretarlo. Soltanto la professionalità docente potrà innovare profonda­mente la funzione della scuola – ovviamente, non per quanto riguarda le finalità, ben definite nell’art. 3 della Costituzione Italiana – riprogettando i cur­ricoli, aprendo prospettive ed opportunità per una didattica capace di potenziare e facilitare gli ap­prendimenti, corroborando quelle competenze di base che sono di natura essenzialmente disciplinare e quelle trasversali, ovvero le soft skills, che sono di natura metodologica, personale e sociale. Entram­be sono alla base dell’apprendimento permanente, che garantisce la possibilità di affrontare sfide sem­pre nuove. A questo punto risulta illuminante la riflessione del sociologo Alvin Toffler che, già negli anni 80, affermava che “gli analfabeti del XXI seco­lo non saranno quelli che non sanno leggere e scri­vere, ma quelli che non possono imparare, disimpa­rare e reimparare. Nessuno di noi può permettersi di non imparare, perché il “ri-apprendimento” non è più un lusso: è una necessità”. Questa premessa è il frutto della lettura dei saggi che abbiamo dedi­cato a questo problema e che evidenziano la grave inadeguatezza della professionalità dei docenti. In­fatti, Eva Nicolò, dopo aver focalizzato il profilo del docente oggi necessario, afferma: “A fronte di questo profilo estremamente elevato e multiforme, vi sono nella pratica quotidiana moltissime criticità che mettono in discussione l’adeguatezza della le­adership dell’insegnante… Alla luce delle criticità riscontrate, ci si interroga in quale misura i docenti siano attrezzati professionalmente per affrontare e superare le emergenze presenti nel sistema edu­cativo attuale”. Un altro contributo focalizzato su questo tema è quello di Maria Rosaria Mazzella, che ha delineato un profilo nuovo, fatto – oltre che di competenze – di consapevolezze: “Consapevolez­za culturale, Consapevolezza socio antropologica, Con­sapevolezza pedagogica, Consapevolezza cooperativa, Consapevolezza evolutiva”… che si si acquisiscono soltanto praticando la ricerca-azione. “Solo ricono­scendo alla professione la dimensione della ricerca (propria del “fare scuola” e collegata con quella acca­demica di cui non è sostitutiva) è possibile pensare di dare agli insegnanti e alle scuole con autonomia la reale strumentazione per produrre innovazione e farsi carico delle esigenze formative che la società pone alla scuola”.

Ma quando la professione docente si esplica in contesti scolastici molto specifici – come le carce­ri, le scuole in ospedale e i CPIA – allora il discor­so diventa più complesso. Il contributo di Nico­letta Morbioli è quanto mai interessante perché ci mette di fronte ad un problema molto grave, sia dal punto di vista della problematicità degli orga­nici, sia per i percorsi formativi (in)esistenti dei docenti per gli adulti. L’autrice così conclude il suo contributo: “Per far fronte alle numerose sfide che i CPIA devono affrontare per dare risposta ai diver­sificati bisogni formativi della popolazione adulta, è necessario pertanto assegnare annualmente un organico adeguato al numero di corsisti iscritti, ol­treché indire concorsi ad hoc in cui si richiedono ai futuri docenti competenze di base di andragogia e glottodidattica che saranno poi affinate non solo con l’esperienza, ma anche con un’efficace forma­zione in servizio”. Infine, su questo stesso tema, ma allargando lo sguardo alle professioni educative e pedagogiche, che non hanno un riconoscimen­to istituzionale come meriterebbero, si segnala il contributo di Andrea Porcarelli che si sofferma sia sulla figura dell’educatore previsto dal Sistema integrato Zerosei, e per il supporto agli alunni con disabilità che ha preso forma con il D.lgvo 65/2017 e che ritroviamo Legge n. 55 del 15 aprile 2024, che definisce il pedagogista “lo specialista dei processi educativi che, operando con autonomia scientifica e responsabilità deontologica, esercita funzioni di coordinamento, consulenza e supervisione pedago­gica per la progettazione, la gestione, la verifica e la valutazione di interventi in campo pedagogico, educativo e formativo rivolti alla persona, alla cop­pia, alla famiglia, al gruppo, agli organismi sociali e alla comunità in generale”.

Stupisce, sorprende e sconcerta il fatto che, pur es­sendoci diffusa consapevolezza tra chi opera nella scuola di questo problema, i politici, i sindacati, i ministri non trovino il tempo per discutere se­riamente della professionalità che dovrebbe avere un insegnante, ed anzi dai concorsi e dalle selezio­ni emerge con chiarezza la vecchia idea di docente erudito fino all'inverosimile (si pensi alle domande poste nei test per l'accesso al cosiddetto TFA), river­niciato con un po' di informatica e di lingua stranie­ra. Per non parlare dei Test preselettivi, finalizzati ad intercettare i migliori o, meglio, a "scremare" la platea di concorrenti. Se lo scopo è questo, un sor­teggio effettuato con una metodologia statistica­mente testata costerebbe molto meno ed avrebbe gli stessi risultati casuali delle attuali modalità di reclutamento. X 

La Casa Editrice Euroedizioni Torino S.r.l. è una società che si occupa prevalentemente di problemi organizzativi e gestionali delle scuole di ogni ordine e grado, sia sotto l'aspetto pedagogico-didattico che sotto quello amministrativo-contabile; a tal fine fornisce informazioni, consulenza, riferimenti interpretativi, formazione anche on line, supporti operativi, edizione di testi per la gestione delle istituzioni scolastiche, manuali per la preparazione ai concorsi del personale scolastico. 

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