Il desiderio di insegnare, il desiderio di apprendere


Dal dibattito sulla scuola è scomparso il discorso su che cosa sia davvero un insegnante, che cosa debba saper fare e che cosa debba essere. Ovviamente, questo fenomeno non è casuale e le motivazioni sono molteplici e di diversa natura. Fra tutte una che, da sempre, occupa e preoccupa i ministri che, con una certa frequenza, si sono succeduti: il numero sempre insufficiente degli insegnanti e la presenza di una percentuale molto alta di docenti precari e afferenti a numerose graduatorie, spesso in concorrenza tra di loro. Molta enfasi viene posta anche alla questione della selezione degli insegnanti che, quando c’è, non è in grado comunque di scegliere gli insegnanti migliori ma soltanto coloro che “meglio hanno saputo superare le prove d’esame”. Queste ultime, peraltro, riguardano soltanto la conoscenza della disciplina e, in questi ultimi anni, la simulazione (sic!) di una generica “lezione”. Non vengono fatte oggetto di valutazione le conoscenze epistemiche, rilevanti ed irrinunciabili perché basilari per lo sviluppo personale e in grado di intraprendere la direzione di una personale acquisizione di solide competenze professionali. E ciò è possibile soltanto quando si opera concretamente in una scuola e con alunni in carne ed ossa. 

Eppure esiste tanta letteratura su quali aree della conoscenza professionale debba essere valutato chi intende insegnare: l’area dei saperi disciplinari che include la consapevolezza del valore formativo della propria disciplina, il suo rapporto con la cultura contemporanea e con gli altri settori della conoscenza; l’area pedagogica relativa alle capacità di guida e di gestione del processo di insegnamento e di apprendimento, sotto il profilo della presa in carico dell’allievo con tutta la sua personalità, orientando i curricoli in direzione dell’integrazione; l’area metodologico-didattica relativa alla concreta mediazione didattica, anche attraverso la personalizzazione e individualizzazione dei curricoli; l’area organizzativa perché l’insegnante sappia operare come membro di una comunità professionale; l’area della comunicazione e relazione che si basa sulla capacità di avvalersi di strategie comunicative e di ascolto attivo, dentro una relazione significativa per i soggetti e, infine, l’area della ricerca e sperimentazione, importante perché comporta riflessione e creatività, ovvero la capacità di migliorare ed innovare.

A margine di questa riflessione aggiungiamo con convinzione che non sarebbe poi così difficile l’accertamento in tutti questi ambiti che costituiscono la sfaccettatura di una professionalità docente a 360 gradi. Certo, ciò può diventare possibile se si fa una programmazione seria dei concorsi, anche quelli riguardanti i docenti iscritti nelle diverse graduatorie e in “tempi distesi” e non in 45 minuti di colloquio. Sarebbe necessario fare una pianificazione attenta e credibile quanto alla sua realizzazione, poiché si tratta di prevedere un colloquio lungo ed articolato e una prestazione dentro una situazione didattica reale. E ciò richiede un certo numero di ore con esperti provenienti dal mondo della scuola, ma anche esperti di selezione del personale, in quanto è necessario assumere i migliori, anche nella prospettiva dello sviluppo professionale. Quindi è necessario una sorta di cronoprogramma diversificato a seconda dei diversi gradi ed ordini di scuola e a seconda del tipo di laurea richiesta per l’accesso all’insegnamento. Non concorsi episodici, raffazzonati, da sanatoria e da emergenza.

E ci fermiamo qui. Insegnare è lasciare il segno nella vita dei nostri giovani e di ciò dovrebbero avere consapevolezza tutti gli insegnanti. La loro funzione educativa e formativa, in accompagnamento a quella di istruzione, ha una formidabile rilevanza sociale. E proprio in questa prospettiva, abbiamo bisogno di professionisti preparati e di persone straordinarie, capaci di mettersi in gioco con tutte se stesse, capaci di assumersi un impegno generoso ed una responsabilità “rischiosa”. è giustificabile, allora, usare con coraggio termini quali missione e vocazione, senza le quali l’insegnamento diventa una tecnicalità senz’anima, cui può corrispondere sicuramente un apprendimento di tipo superficiale ed utilitaristico (prendere un buon voto!), e più raramente un apprendimento profondo e durevole. Stiamo parlando di quello che Don Milani, più di cinquant’anni fa, definì in modo profetico nel seguente modo: “Imparare a imparare, perché non si smetta mai di imparare e perché si deve avere il gusto di conoscere e di essere curiosi”.

Tutti noi sappiamo che l’apprendimento è una sorta mistero, nonostante tutti gli studi scientifici che abbiamo a disposizione e che gli insegnanti avrebbero il dovere di conoscere. Ce l’ha descritto in modo indimenticabile Massimo Recalcati nell’ “Ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento”: <L’apprendimento non è la riproduzione... la ripetizione del già detto, del già conosciuto, del già saputo. L’uso massiccio delle slides ci dice, ancora una volta, che il sapere è già scritto e... se tutto è già scritto, la trasmissione consisterà nella sua ripetizione ordinata, scontata e, dunque, fatalmente burocratizzata. Nessuno può insegnare a insegnare... nessuno può insegnare ad apprendere. è difficile descrivere il movimento soggettivo dell’apprendimento, ma la cosa certa è che ... il maestro non è un padrone perché non esige l’uniformità dei suoi allievi. L’erotica dell’insegnamento non può generarsi senza un maestro, ma non può nemmeno essere ridotta a riprodurre il sapere del maestro, a fare come lui. Non si può insegnare (né si può apprendere) senza amore... . Occorre fomentare nei ragazzi il desiderio di apprendere, conoscere con passione perché non ci sia un “vuoto di cultura”. Il desiderio di apprendere è un rapporto amoroso ed erotico verso la cultura che costituisce il più potente antidoto per non smarrirsi nella vita. In questo l’avventura dell’insegnare s’incrocia con quella del mistero dell’apprendimento. Infatti, il pensiero dell’insegnante come dell’allievo non sorge semplicemente dalla volontà intenzionale di pensare, ma scaturisce da un urto, dall’incontro con qualcosa che costringe a pensare... dapprima in modo incerto, poi con coraggio sempre maggiore. Infine con orgoglio!>.

Forse è proprio l’assenza di questo “incontro/scontro” ad essere una delle cause del disagio che la scuola induce tra gli studenti e gli insegnanti, spesso gli uni e gli altri demotivati a frequentare la scuola con impegno, curiosità ed amore per la conoscenza.Anche in questo numero la nostra rivista affronta tematiche che riguardano molto da vicino la carica affettiva che ogni docente deve mettere in campo per essere efficace e per avere un feedback carico di energia, in termini di gratificazione. Alcuni contributi collocati nelle rubriche vanno proprio in questa direzione: si legga attentamente i contributi di Tindara Rasi, di Selvaggia Pezone e di Alessandra Serra che vanno oltre la descrizione dei contenuti, in quanto mettono in gioco la stessa autorevolezza e credibilità degli stessi insegnanti. Né si può tacere del contributo appassionato di Pirchia Schildkraut che affronta un problema di cui tutti sono al corrente e sul quale pochi e volontari intervengono sul piano educativo. Stiamo parlando della diffusione dell’alcolismo tra i giovani ed in età sempre più precoce. E questo fenomeno interpella gli insegnanti come educatori, poiché per combattere contro l’alcolismo la scuola tutta debba mettersi in gioco e non solo affidandosi ad esperti, pure necessari

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