Scuola addormentata e scuola indisciplinata


Le scuole sono quanto di più conservatore esiste oggi nella società. La società cambia rapidamente, ma le scuole e il modo in cui i ragazzi dovrebbero apprendere, sono rimasti le stesse da quasi un secolo. Alcuni studiosi (pochi, per la verità!), molti insegnanti e un certo numero di genitori (anche loro!) pensano che la scuola, così come è stata concepita fino ad ora, debba restare così per sempre; al contrario, il resto della società pensa che questa scuola narcolettica sia ormai arrivata alla fine.

Il più importante cambiamento sociale degli ultimi anni è stato la comparsa delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione digitale: effetti grafici, animazioni, comunicazione interattiva, simulazioni, giochi per computer, internet, realtà virtuale. Queste tecnologie, e in particolare le simulazioni, ci permettono di imparare non soltanto tramite la lettura o l’ascolto, ma vedendo e facendo, in modo da comprendere il processo e osservarne le conseguenze pratiche. Gli studenti di oggi, prima ancora di arrivare sui banchi, hanno avuto modo di interagire a fondo con la tecnologia, e questo ha cambiato il loro modo di comunicare, di raccogliere informazioni, persino di pensare e di apprendere: non più solo lineare ma anche ipertestuale. Come può accogliere questi studenti un sistema scolastico che di tutto ciò non vuole saperne nulla? 

Eppure c’é ancora chi crede che nelle nostre scuole si pratichi una didattica per l’acquisizione di competenze, una scuola dove non si insegna più come una volta e, dunque, non si apprende! Questa è la tesi di P. Mastrocola e L. Ricolfi nel loro recente saggio “Il danno scolastico. La scuola progressista come macchina della disuguaglianza”. Come direttore di questa rivista, con anni di esperienza di dirigente scolastica, di ricercatrice e di formatrice, posso affermare senza tema di essere smentita, che parlare di scuola come se fosse un sistema che, sia prima dell’attribuzione dell’autonomia scolastica che dopo, funziona dappertutto allo stesso modo e che ha effettivamente implementato tutte le riforme scolastiche di questi ultimi due decenni, è da ingenui, oppure da pressappochisti. Nelle nostre scuole c’è di tutto e, di conseguenza, si può dire tutto e il contrario di tutto, a seconda delle posizioni ideologiche o politiche, perché coesistono fenomeni più o meno diffusi e perfino contrastanti. C’è del nuovo e c’è del vecchio.

E così, accanto ad insegnanti “indisciplinati” nel significato che Daniele Barca utilizza nel saggio pubblicato in questa rivista, ci sono insegnanti “addormentati”. Chi sono questi ultimi? Ci appaiono come sacerdoti stanchi ma gelosi custodi di riti organizzativi e didattici che ripetono di anno in anno (anche quando si dimostrano inefficaci) con rassegnazione e, nello stesso tempo, con la sicurezza che soltanto le routine sanno dare. E anche i loro alunni sono sonnolenti perché, vivendo in una società come la nostra, fanno fatica a stare attenti e dimenticano quello che ascoltano; i più “bravi” resistono e si aggrappano ai libri di testo, molti cercano di galleggiare, altri - e non sono pochi se guardiamo i dati sui fenomeni di disagio, dispersione, mortalità scolastica - si tengono ai margini e sono destinati a restare emarginati. 

Gli insegnanti indisciplinati, invece, per sfuggire alla routine, ma anche per passione e per impegno civile, cercano di cambiare qualcosa in modo solitario o in piccolo gruppo, con o senza stimoli ed appoggi da parte del dirigente scolastico, con o senza “valorizzazione del merito” pure presente nella normativa, a volte boicottati, derisi o compatiti dai colleghi. 

Questa rivista ha fatto, fin dal suo esordio, una scelta ben precisa: affrontare problemi di attualità per fornire strumenti critici per una loro lettura non scontata e, d’altro canto, affrontare temi classici, perché in grado di farci riflettere. Temi e problemi, poi, si intrecciano nei discorsi dei nostri autori e, in questo numero, abbiamo molte testimonianze che vanno in questa direzione. Una di queste è sicuramente la testimonianza di Daniele Barca che, come dirigente scolastico di un Istituto Comprensivo, sta cercando di dare qualche risposta alla cosiddetta “scuola media” da decenni denominata “anello debole” del nostro sistema scolastico ma senza che sia mai stata elaborata una proposta che non sia una diversa scansione dei cicli. Barca parte dall’idea progettuale sintetizzata con il motto in media stat virtus, con il palese scopo di riabilitare la cattiva fama di questo grado di scuola. Tra i diversi aspetti della proposta compiutamente riportata nel suo contributo, una particolarmente convincente è sintetizzata in questa affermazione: <Oltre le discipline: concepire la natura e il digitale nei percorsi didattici del curricolo d’istituto, come sfondi integratori per tutti gli apprendimenti creando percorsi multidisciplinari ma al tempo stesso curricolari, in modo da rendere la scuola contemporanea (non del futuro), portar via queste competenze dalla gabbia del laboratorio, o del coding come mono percorso specialistico. L’obiettivo del superamento delle discipline è rendere quotidiani i nuovi percorsi, non renderli eccezionali. Per esempio, nella recente enfasi data all’insegnamento delle discipline STEAM i rischi sono due: la creazione di una nuova materia o la sua segregazione nel progettificio. Individuare percorsi e metterli a sistema nel curricolo d’istituto può essere l’antidoto a questo equivoco>. Questa rottura delle discipline, necessaria per poi intrecciarle in modo integrato, la troviamo anche nel contributo di Daria Pasinetti e Sara Urban che, sempre in una scuola secondaria di 1° grado, superano la concezione del teatro come laboratorio extracurriculare per innestare la pratica teatrale nel curricolo, ovvero non soltanto in orario aggiuntivo né in modalità aggiuntiva, bensì integrata nelle discipline. Come affermano le autrici e sperimentatrici: <La differenza con i consueti laboratori teatrali scolastici consiste proprio nell’idea della partecipazione e dell’apporto di tutte le discipline al prodotto teatrale, e viceversa del contributo del teatro all’insegnamento e allo studio delle materie tradizionali mediante processi creativi. Inoltre l’esperienza laboratoriale è continuativa per l’intero ciclo scolastico e quindi esperienza profondamente caratterizzante il vissuto formativo degli studenti>.

Ma indisciplinata è anche la scuola che ci presenta Fiorenzo Ferrari che, dovendo risolvere problemi di natura logistica e non avendo, ovviamente, soluzioni “chiavi in mano” tra edifici vecchi e nuovi, storici o provvisori, trasforma un problema rilevante specie in epoca Covid-19, in una formidabile opportunità di partecipazione per tutti gli abitanti della scuola e, primi fra tutti, gli studenti. Ecco, tutti questi casi sono un esempio di come, avvalendosi dell’ autonomia, si possa innovare rompendo gli schemi, ma sempre coniugando responsabilmente la creatività con la responsabilità, la partecipazione con la presa in carico del destino comune. Sono casi in cui l’autonomia didattica e quella organizzativa si sono avvalse dell’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo, per risolvere problemi, disagi o, semplicemente, per provare a dare risposte adeguate sia ai vecchi problemi che a quelli nuovi. Vogliamo chiudere con due contributi. Quello di Pirchia Schildkraut che questa volta, da medico e da ricercatore, dedica le sue riflessioni al “pensiero scientifico” che, ovviamente, non è appannaggio delle materie cosiddette scientifiche, ma è l’approccio tipico di tutte le discipline, perché riguarda l’uso del pensiero razionale e critico. 

È un invito che tutti dovremmo accogliere in un’epoca, come quella che stiamo attraversando, in cui è proprio il web che ha favorito il ritorno del pensiero magico e acritico, perché l’affidabilità del medium rende credibile perfino ciò che è illogico.Infine, dedichiamo alcune righe al contributo di Mariacristina Gubellini che, a proposito della potenzialità didattica della narrazione scrive: <Fin dai primi anni è diffusa la pratica di utilizzare un personaggio per introdurre gli studenti ai più vari argomenti: dai primi elementi di una lingua (la propria o quella studiata come L2), a concetti scientifici di una certa complessità. Ancora, la narrazione come modalità educativa, è un valido strumento di costruzione di conoscenze, di comunicazione delle esperienze e un efficace strumento riflessivo del proprio processo di apprendimento e per la costruzione di significati interpretativi della realtà. In altri termini si tratta permettere agli studenti di riflettere, di pensare, di fare esperienza di sé>.

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