“Pandemia e nuova regolazione dell’abuso d’ufficio”
di Anna Armone
Direttore Esperta in Scienza dell’Amministrazione Scolastica
In questi tempi di pandemia si allentano i legami rigidi regolativi dell’azione amministrativa, in particolare in due casi: la riforma dell’art. 2-ter del codice della privacy e la riforma dell’abuso d’ufficio. Sull’art. 2-ter rinviamo la discussione a più avanti, a quando le amministrazioni cominceranno ad assumere decisioni di responsabilità sul trattamento di dati (e ne vedremo delle belle...). Soffermiamoci sul reato di abuso d’ufficio, perché lo sfondo è l’agire amministrativo con le sue regole formali e le sue norme comportamentali.
L’occasione per discuterne nasce da una recente sentenza, la n. 8/2022 con cui la Corte Costituzionale si è pronunciata - ritenendola non fondata - sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dal GUP del Tribunale di Catanzaro sull’art. 23, comma 1, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale), convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120, che ha sostituito, nell’art. 323 c.p., la locuzione, riferita alla violazione integrativa del reato, «di norme di legge o di regolamento» con l’altra, più restrittiva, «di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità».
La figura delittuosa dell’abuso d’ufficio assolve ad una funzione di chiusura nell’ambito del sistema dei delitti del pubblico ufficiale contro la pubblica amministrazione. Rappresentando il punto di emersione della tematica del sindacato del giudice penale sull’attività amministrativa, questa tematica è sempre stata attraversata da una dialettica molto forte tra istanze legalitarie che spingono verso un controllo generale dell’azione amministrativa, proprio come se dovesse per porre un freno alla mala gestione della cosa pubblica, e l’esigenza di evitare invece un’esigenza pervasiva del giudice penale sull’operato dei pubblici amministratori attraverso un’azione che potrebbe ledere la sfera di autonomia che spetta appunto ai pubblici amministratori.
In effetti, nonostante il bisogno di contrastare l’atteggiamento difensivo della burocrazia e i suoi effetti negativi agendo sulle cause di questo fenomeno fosse già stato avvertito da tempo, la decisione di mettere mano all’intervento normativo è maturata solo a seguito dell’emergenza pandemica e ciò è accaduto nell’ambito di un provvedimento d’urgenza volto a dare uno slancio all’economia interna che è stata messa a dura prova dalla chiusura delle attività produttive. Ci si riferisce al decreto-legge 76 del 2020 nominato decreto semplificazioni.
Questo articolo ha modificato, come abbiamo visto, l’articolo 323 del codice penale sostituendo la frase di norme di legge o di regolamento con la frase “di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge o dalle quali non residuino margini di discrezionalità”. Operando in questo senso, la nuova norma ha ristretto la fattispecie delittuosa operando proprio una sorta di abolizione parziale su tre diversi punti: rispetto all’oggetto la violazione commessa dal soggetto pubblico deve essere relativa ad una regola di condotta e non ad esempio ad una regola organizzativa; rispetto alla fonte la regola violata deve essere specifica ed espressamente prevista da una legge o da un atto avente forza di legge con esclusione delle norme regolamentari; rispetto al contenuto la regola violata non deve lasciare spazio alla discrezionalità.
Relativamente alla fonte regolativa troviamo l’estromissione del riferimento ai regolamenti mentre invece la violazione è previsto che abbia ad oggetto regole specifiche previste da fonti primarie e che non lasciano appunto spazio alla discrezionalità. È proprio chiaro l’intento del legislatore di chiudere la strada alle precedenti interpretazioni giurisprudenziali che avevano ampliato la sfera di operatività della vecchia legge n.234 del 97. Il fatto che l’abuso debba consistere nella violazione di regole specifiche mira ad impedire che si assuma nell’ambito della condotta tipica anche l’inosservanza di norme di principio, quali ad esempio l’articolo 97 della costituzione. Secondo il Gup di Catanzaro, richiedendo che le regole siano espressamente previste dalla legge e tali da non lasciare spazi di discrezionalità significa negare il rilievo agli atti che possono essere viziati dall’eccesso di potere vizio di legittimità.
Sempre secondo questo giudice il reato di abuso d’ufficio è a garanzia del buon andamento dell’imparzialità e della trasparenza della pubblica amministrazione. Ciò ovviamente sembra in contrasto con il decreto-legge che ha modificato l’articolo che riguarda invece la semplificazione dell’azione amministrativa. Aver ancorato il fatto tipico alla violazione di aperte “specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità” farebbe sì che l’abuso per poter assumere rilievo penale dovrebbe risolversi nell’inosservanza di una norma legislativa che prevede un’attività amministrativa vincolata sia nell’an che nel quid che è nel quomodo.
Secondo il giudice di Catanzaro la scelta di togliere la rilevanza penale ad ogni forma di esercizio della discrezionalità potrebbe portare alla violazione del principio di eguaglianza, poiché si attribuirebbe all’agente pubblico un potere dispositivo assoluto e sottratto alla valutazione del giudice. In questo modo la norma nella nuova formulazione equiparerebbe il pubblico funzionario a un privato perché tale soggetto ha la piena disponibilità della cosa di cui è proprietario.
In effetti i casi di attività amministrativa integralmente vincolata sono molto rari e potrebbero attenere ad una sfera molto limitata dell’agire della pubblica amministrazione. Con questa norma il legislatore sembra aver circoscritto la rilevanza penale ad una casistica molto marginale sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, lasciando senza nessuna risposta punitiva quelle condotte molto più gravi di coloro che avendo il potere di decidere discrezionalmente si trovano in una situazione privilegiata e possono abusarne.
La Corte Costituzionale nella decisione ricostruisce il senso di questo intervento riformatore partendo dalla relazione al disegno di legge di conversione, laddove la modifica dell’articolo 323 del codice penale viene giustificata con la mera esigenza di definire in maniera più compiuta la condotta rilevante ai fini del reato di abuso di ufficio, senza alcuna precisazione riguardo al collegamento dell’intervento con gli obiettivi di fondo del provvedimento d’urgenza. Invece questo collegamento è ben individuabile, proprio per come ha anche richiamato il presidente del Consiglio dei ministri presentando il decreto, nell’idea che la ripresa del Paese possa essere facilitata da una puntuale delimitazione delle responsabilità.
La paura della firma e la burocrazia difensiva portate avanti dal timore di un’imputazione per abuso d’ufficio si tradurrebbero proprio quale fonte di inefficienza e immobilismo in un ostacolo al rilancio economico che invece richiede una pubblica amministrazione dinamica ed efficiente. Proprio in questa ottica la modifica operata all’articolo del codice penale non rimane una monade isolata. Infatti questa norma si correla al capo del decreto semplificazioni dedicato alle responsabilità a disposizioni volte a tranquillizzare i pubblici amministratori rispetto all’altro rischio che accompagna il loro operato quindi la responsabilità erariale. Ecco perché la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità dell’articolo 23, comma 1, del decreto-legge 16 luglio 2020 n. 76 concludendo che, nonostante i connotati della straordinarietà e dell’urgenza la norma non può considerarsi, comunque sia, manifestamente irragionevole o arbitraria».
Ed ora veniamo ai contributi di questo numero.
Un primo, poderoso contributo è quello di Francesco Nuzzaci, una sorta di viaggio nei luoghi del conflitto a scuola. L’autore affronta, sul versante dei rapporti interni, la costruzione di documenti, l’esercizio di libertà, la gestione del personale con le connesse sanzioni disciplinari. La visione dell’autore poggia sull’impianto normativo e giurisprudenziale, ma anche sull’analisi degli elementi organizzativi che caratterizzano la scuola. Lo stesso processo segue l’analisi dei luoghi di potenziale conflitto nei rapporti esterni con le famiglie, l’Amministrazione, gli enti locali. Il disincanto è accompagnato da un efficace tentativo di mediazione, in particolare nella parte conclusiva dell’articolo che affronta il tema delle relazioni sindacali. Ecco, dunque, un breve codicillo, di buon auspicio.
Renato Loiero illustra i contenuti della legge di bilancio 2022 in tema di scuola primaria e secondaria soffermandosi su quelli di maggiore rilevanza in relazione alla straordinaria situazione connessa alla pandemia. In particolare, illustra i provvedimenti “COVID”, che alla data di pubblicazione di questo numero dovrebbero essere in via di attenuazione o eliminazione, ma prosegue con l’analisi di norme specifiche che vanno dal personale docente ai Direttori sga. Infine richiama, tra le altre, norme specifiche che intervengono sui finanziamenti per il contrasto al cyberbullismo ma anche per il potenziamento dei servizi indicati per gli alunni con disabilità delle scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di primo e di secondo grado.
Vanna Monducci in questa seconda parte (la prima parte è stata pubblicata sul n. 4/2021) focalizza l’analisi sul rapporto tra educazione e obiettivi dello sviluppo sostenibile e dell’equità nell’istruzione. L’obiettivo 4 degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs), fissati dai leader mondiali nel 2015, prevedeva di assicurare “un’educazione di qualità inclusiva ed equa e di promuovere opportunità di opportunità di apprendimento per tutti”. Un gran numero di indicatori nell’edizione 2021 analizza la partecipazione e la progressione attraverso nell’istruzione di una serie di dimensioni di equità: genere, origine immigrata o paese d’origine, e regioni subnazionali. La dimensione socio-economica è valutata attraverso un’analisi degli indicatori per tipo di istituzione educativa, sia pubblica che privata, così come attraverso gli indicatori di finanziamento dell’istruzione.
Vito Tenore affronta un tema assai ampio relativo ai limiti alla libertà di pensiero nell’uso dei social media da parte del personale scolastico e degli alunni. In questa prima parte del saggio, nella sua interezza complesso ed esaustivo, l’autore affronta la tematica sulle esternazioni tramite social, anche nella scuola. Affronta il problema della contrapposizione tra la rivendicata libertà di pensiero sottesa a tante esternazioni sovente improvvide su social media e il rispetto del prossimo e di alcuni valori fondanti della Carta costituzionale e della società, con particolare riferimento al mondo della Scuola, ontologicamente fabbrica, faro e guida del rispetto dell’altro e delle regole di convivenza sociale. Viene successivamente affrontata la declinazione della libertà di pensiero nella Costituzione e i limiti all’attività giornalistica e nelle esternazioni da parte dei dipendenti privati.
Paola Calenda fa una disamina concisa ed efficace della responsabilità e degli obblighi del dirigente scolastico in materia di sicurezza nelle scuole, anche alla luce dell’intervento riformatore del d. 146/2021 che ha modificato il d.lgs. 81/2006.
Luciano Lelli affronta criticamente la gestione organizzativa della scuola a seguito della pandemia, in particolare l’uso della DAD. L’articolo è comunque centrato su un documento intitolato Manifesto per la nuova Scuola, al quale hanno aderito, sottoscrivendolo, alcuni intellettuali di diffusa nomea (tra di essi Alessandro Barbero, Carlo Ginzburg, Vito Mancuso, Dacia Maraini, Massimo Recalcati, Gustavo Zagrebelsky). Il documento è stato rilanciato da innumerevoli fonti informative; non risulta però che sia stato oggetto di diffuse disamine critiche. Come riporta l’autore, esso non pare dotato di strabiliante energia innovativa: ha però il merito di elencare una protratta serie di problematiche inerenti il funzionamento delle scuole italiane, per lo più in spirito di distanziamento e dissenso rispetto agli assetti normativi e operativi attualmente prevalenti nel nostro sistema scolastico.
Federica Marotta commenta un orientamento giurisprudenziale già trattato, relativo alle sanzioni disciplinari in ambito scolastico e, nello specifico, ai casi in cui queste vengano comminate a minori con certificazione di disabilità o di Disturbo Specifico dell’Apprendimento. L’autrice pone l’accento sull’importanza della sanzione come metodo educativo e che, per questo, deve essere comminata in relazione ai diversi bisogni educativi speciali di ognuno.
Giuliana Costantini, nella rassegna libraria, illustra quattro libri, tutti diversamente interessanti. Il primo libro, Racconti del Risorgimento a cura di Gabriele Pedullà, è un’antologia del tutto particolare dedicata agli scrittori del Risorgimento italiano, lontana però dei toni melodrammatici che ci aspettiamo: c’è l’amor di patria ma ci sono anche i sogni dei giovani di quel periodo storico trattato con grande rispetto anche se talvolta con leggera ironia. Si alternano testi brevi nei quali le grandi firme di fine 800 e dei primi del 900 fanno perfino i conti con le delusioni di quanto non è stato poi realizzato dopo ben tre guerre di indipendenza. Il secondo libro, di Carla Fiore, è un poliziesco che l’autrice costruisce intorno ad un personaggio “atipico”, la zia Priscilla, una garbata signorina colta e coraggiosa che non vuole strafare, ma con l’aria un po’ sorniona è pronta a cogliere i particolari di ogni situazione e non sfigura quindi accanto alle investigatrici femminili. Il terzo libro, di Franco De Anna, Di scuola si soffre. Memorie di un ispettore scolastico, è una specie di manuale interiore per tutti coloro che vogliono affrontare una professione cruciale in qualsiasi sistema scolastico, quella dell’ispettore. Ma è anche la storia di un coinvolgimento vero che, davvero nella sua vita, lo ha visto in prima linea impegnato e appassionato. L’ultimo libro, di Rosario Pellecchia, Le balene mangiano da sole, è un delicato romanzo sulla storia di un’amicizia tra un rider e un bambino solitario con il quale nasce un’intesa che porterà i due a condividere un pezzo di strada delle loro giovani vite.
Nella rassegna cinematografica, che l’autore mette a disposizione dei lettori per essere utilizzata nell’attività didattica, Vincenzo Palermo propone tre film. Il primo, The Tender Bar è una coinvolgente storia suburbana che mette a confronto due quadri sociali compositi: la realtà proletaria e piena di armonia della famiglia di JR e le altolocate dimore dei borghesi presso cui il ragazzino, ormai cresciuto, consumerà il suo apprendistato esistenziale. Imbevuto di un tenero sentimentalismo, il resoconto delle vicende umane di JR è una fedele trasposizione del memoir scritto dal vero JR Moehringer, giornalista e scrittore nato a New York negli anni Sessanta. Il secondo film, Squid Game è una riflessione distopica sul male assoluto ma necessario del capitalismo, incapace di scalfire totalmente l’etica umana e la solidarietà sociale, ma talmente forte da annebbiare le coscienze tenute in pugno da un sistema totalitario. Il terzo film, Freaks Out riscrive la Storia contemporanea piegandola a un incanto romanzesco che è un unicum nelle nostre produzioni nazionali. X