La scuola nel confuso presente
Editoriale di Ivana Summa
Apriamo questo nostro editoriale prendendo a prestito il titolo di un recentissimo saggio di Corrado Augias, Breviario per un confuso presente, in questo numero magistralmente recensito da Flavia Marostica. Il testo riporta in apertura una citazione tratta da Francesco Petrarca: Simul ante retroque prospiciens (guardando contemporaneamente il passato e il futuro). Ed è questo l’approccio del nostro giornalista e scrittore che, con maestria e sapienza, si rivolge a personaggi ed eventi del passato dai quali si possa ricavare un significato ancora utilizzabile ai nostri giorni”, quindi volgendo “uno sguardo nello stesso tempo al passato e al futuro” per constatare “il tramonto di consolidati punti di riferimento” e “una rivoluzione senza precedenti nella storia umana” che può “migliorare la qualità della vita… o distruggerla”. Infatti, oggi sono tramontati “consolidati punti di riferimento” e siamo nel vortice di “una rivoluzione senza precedenti nella storia umana” che può “migliorare la qualità della vita… o distruggerla”. Che dire se non che è difficile per tutti noi orientarsi e, purtroppo, lo è anche per tutte le istituzioni. Così, tra gli uni e tra gli altri emergono comportamenti contraddittori poiché alcuni pensano di poter inoltrarsi nel futuro riesumando i valori del passato, mentre altri si sforzano di interpretare i segni del presente per individuarne i trend, ovvero gli sviluppi di lungo periodo. In entrambi i casi, si cerca di dare un senso all’inquietante presente e tracciare una direzione per incanalare la speranza che rimane, in ogni caso, accesa. Augias ci fornisce formidabili stimoli in trenta pillole di riflessione, attraverso le quali si comprende chiaramente come la speranza resta accesa soltanto se si mette in campo un grande impegno intellettuale.
Anche alla scuola serve una riflessione “intellettuale” (proprio nel senso di usare l’intelletto) perché abitata da professionisti dell’educazione che hanno la necessità di condividere una visione comune, non calata dall’alto ma frutto di una cultura pedagogica che ogni giorno si misura con la realtà. Oggi l’istituzione scuola si dibatte tra passato e futuro, tra il vecchio e il nuovo, tra certezze che crollano e strumenti didattici, metodologici e valutativi che non funzionano più, e in più con un sovraccarico di competenze educative ed amministrative che provocano affanno a tutto il personale e tanti buchi neri in grado di divorare energie. In questo quadro, la scuola, che è pur sempre fatta di persone che agiscono impegnando cuore ed intelletto, non ha certezze cui aggrapparsi né soluzioni inoppugnabili da proporre ai decisori politici, ma sicuramente ha delle idee nuove validate da tante esperienze, dettate dalla creatività professionale, che è la più alta espressione della liberà di insegnamento quando si colloca in un orizzonte pedagogico. Eppure, nonostante questa ricchezza prodotta, le nostre scuole non riescono più a far sentire la propria voce, contrariamente a ciò che avveniva in un passato non lontano, quando le leggi di riforma della scuola rappresentavano il precipitato normativo delle migliori pratiche scolastiche e degli esiti di ricerche e studi, anche di natura interdisciplinare, realizzati da studiosi di diversa provenienza. Le scuole, infatti, rappresentano dei veri e propri laboratori sociali, veri e propri “sensori sociali” in grado di recepire gli input provenienti dall’esterno, di formulare risposte e di sperimentarle.
Ed è proprio quello che proponiamo in questo numero della rivista con alcuni saggi che crediamo testimonino questa vitalità professionale della scuola attraverso scuole e insegnanti sperimentatori, che affrontano l’incertezza del presente navigando nel futuro, utilizzando metodologie e didattiche che non rinnegano le pratiche tradizionalmente utilizzate, ma le reinventano integrandole con i nuovi strumenti, come il tinkering e l’utilizzo appropriato delle tecnologie. È quello che ci propone la maestra Maria Stancampiano con il suo laboratorio “Ago e filo per crescere: il cucito come strumento pedagogico”, realizzato in occasione delle feste di Carnevale, molto presenti in tutti i territori del nostro paese. Ma “questo progetto va oltre un semplice laboratorio creativo, realizzato sia sul versante manuale che su quello multimediale: è un viaggio educativo che aiuta i bambini a scoprire se stessi e gli altri, lasciando un segno profondo nelle loro conoscenze e nei loro cuori… L'esperienza non si limita a creare un prodotto, ma è un percorso emozionante che costruisce ricordi duraturi… Le attività entusiasmanti rimarranno impresse nella memoria dei bambini” e, aggiungiamo noi, si trasformano in conoscenze ed abilità durevoli perché acquisite in ambienti di apprendimento significativi. E di ambienti di apprendimento significativo ci parla Loredana De Simone che, come dirigente scolastica, sperimenta nelle scuole che dirige e riflette insieme ai suoi insegnanti. Nel suo contributo, “IA e tecnologia: quali ricadute sui processi di apprendimento-insegnamento?” parte da una riflessione che riguarda la scuola, anche in quei gradi, come l’infanzia e la primaria, che sembrano temporalmente distanti dall’urgenza del presente e dalle necessità dell’orientamento al lavoro. Così scrive: “I lavori e le professioni del futuro impongono una visione prospettica triadica che interseca inevitabilmente formazione, orientamento e mercato del lavoro. Ancora una volta la scuola è coinvolta in un processo sfidante che la rende protagonista e al tempo stesso vittima di un cambiamento che comporta l’assunzione di nuovi ruoli e differenti responsabilità sociali e culturali”. Di fronte alle sfide imposte dalle trasformazioni tecnologiche e dalle turbolenze politiche e sociali, come può il nostro sistema scolastico continuare il suo lavoro di “trasmissione del sapere”? La risposta è in “una scuola che sia in grado di rendere generativo il sapere disciplinare attraverso esperienze di apprendimento funzionali... Il PNRR, in tal senso, è un apripista quando sottolinea la necessità di progettare ambienti di apprendimento preposti allo sviluppo di competenze agite, in contesti reali o realistici, in una visione di scuola ecosistemica interconnessa con il mondo del lavoro”.
Insomma, nelle scuole, quando si pratica la ricerca, le risposte giuste sono elaborate e realizzate hic et nunc, mentre i decisori politici sono più lenti e spesso lontani dal mondo della ricerca.
In questa prospettiva si muove il contributo di Renato Candia, il quale analizza il DM n. 66/2023 attraverso la lente dell’autonomia che, al suo massimo potenziale, si esprime come attività di ricerca, sperimentazione e sviluppo, che nasce e si consolida in comunità di pratiche, sia nelle singole scuole che in reti appositamente istituite. Ripercorrendo questa particolare dimensione dell’autonomia scolastica, sancita dall’articolo 6 del D.P.R. n. 275/1999, Candia sottolinea il fatto che, nei quasi venticinque anni di autonomia, le scuole nel tempo e nella varietà delle situazioni territoriali, non hanno mai realmente praticato la ricerca-azione. Come ci ha insegnato J. Dewey, la ricerca-azione parte dal presupposto che l’educazione e l’esperienza mantengono tra loro una connessione organica. E sappiamo che uno dei pilastri della pedagogia deweyana è l’apprendimento esperienziale: si apprende dalle esperienze dirette e la soluzione di problemi. D’altro canto, per il pensatore statunitense, la scuola è una comunità democratica e, come tale, chiama tutti, anche gli studenti, alla partecipazione. Dunque, anche per i docenti è importante la partecipazione di tipo cooperativo che consente la formazione di comunità di pratiche per l’apprendimento che il citato DM propone come modello di formazione e di crescita professionale. Infine, sempre nella prospettiva del DM 66, si muove il contributo di Eva Nicolò che afferma che “Non si può educare fuori dal tempo; pertanto, per costruire una scuola inclusiva ed efficiente, la transizione digitale a scuola deve essere assunta come impegno corale, dal dirigente scolastico al personale docente, dal personale ATA agli studenti. La formazione del personale oggi è più urgente che mai, necessaria per cavalcare le onde del cambiamento con il coraggio che solo il sentirsi competente sa infondere.
Concludiamo questo nostro editoriale con una domanda che chiede risposte non improvvisate e radicali, come, purtroppo, siamo abituati a fare con i social del sì/no e del piace/non mi piace. La scuola deve riflettere, pensare e poi agire. Non è semplice in un tempo in cui il futuro appare minaccioso e a molti la soluzione è recuperare il passato che, in quanto tale, appare sicuro. Purtroppo, il passato quando era un presente pensato ed agito in funzione del futuro, era pur sempre un navigare nel mare dell’incertezza. X